venerdì 7 febbraio 2014

la dove

ieri, lungo una delle solite ampie e scalcinate strade, la dove la città sta per finire o per incominciare e la dove vecchi edifici scalcinati si mescolano con i nuovi più pretenziosi ma in fondo solo un po' più puliti, e la dove rimane qualche vuoto campo che qualche vecchio si ostina a coltivare di magri olivi ma che presto lasceranno il posto al cemento, e la dove i Gypsy riescono a trovare ancora qualche campo dove metter le loro tende in cui tanto sporchi ma liberi e felici bambini corrono attorno, e la dove magri cammelli pascolano magra erba secca, e la dove officine meccaniche nere di unto forse meno della tuta dell'ormai invecchiato giovane che un tempo amava metter mano al rombo di motori e la nella periferia aveva messo su la suo scalcinata officina, e la dove ancora non c'è marciapiede e luce e la nettezza non passa mai, e la dove tutto sembra fra poco cambiare, ieri appunto la dove era tutto questo stavano loro uno in fronte all'altra mani nelle mani, occhi negli occhi, infiniti pensieri in infiniti pensieri e una felicità per quel amore che dal "la dove" li isolava ed in paradiso li portava "la dove" ogni cuore è uguale al nostro.
Lei: minuta ed esile con quei soprabiti lunghi che tutto nascondono e rendono uniforme, con bottoni infiniti che ben sopra il collo finiscono, con un velo bianco ad incorniciare il volto coperto da fazzoletto azzurro che si muoveva al vento: abiti che nulla lasciano alla bellezza di una donna ma con quegli occhi rivolti in su nel perso sguardo di lui che la rendevano la più bella delle donne.
Lui: possenti spalle che mai vorrei affrontare di lana nera coperte, cappelli neri forti come un cespuglio di rovi, ma occhi nel chiaro volto, persi di dolcezza quel scricciolo che gli stringeva le mani e come un tenero bambino lo faceva apparire.
Che bello: accade la dove alle volte tutto sembra perso come nel nostro cuore. Ho deciso che li chiamerò Omar e Leila e che quel infinito amore colto per un attimo è il regalo di questa terra.



sabato 1 febbraio 2014

Webdeh

Questa mattina avevo un po di tempo dovendo aspettare l'indaffaratissimo Andrea. Da prima mi sono fermato nel rotondo giardinetto di Paris Circle e me ne sono stato li, seduto su una delle otto panche, a gustarmi i caldi raggi di un sole ormai già forte che ancora combatte però con l'aria fresca dell'inverno.
Ripensavo a quel giorno lo scorso dicembre, che nevicava fitto ed a quello che era accaduto proprio complice la neve, in quell'elegante bar curvo d'angolo dove mi ero rifugiato per sentire un po' di caldo e stare tranquillo e li come spesso accade, mi ero messo a scrivere per trovare un po' di compagnia al mio cuore solitario.
Poi ho iniziato a gironzolare lungo le strette strade del Webdeh e a guardare quei negozietti fatti di nulla ma che danno l'idea di essere in un quartiere cucito un po' sulle aspettative dei turisti.
Camminando lungo sgangherati marciapiedi mi sono spinto sino alla moschea verde o almeno così io la chiamo per via delle cupole verdi, il verde è il colore di dio,  che stanno sia sopra l'aula sia sopra la.fontana delle abluzioni sia per la guglia verde del bel e slanciato minareto.
Ho tolto le scarpe e sono entrato nel luminoso pronao dove le ho appoggiate ordinatamente fra le molte altre.
Si molte. Oggi è un giorno lavorativo normale, è mezzogiorno ma l'aula era piena sia di più cheti vecchietti sia di più scalpitanti giovani. 
Le espressioni dei volti erano lievi tanto da fugare il dubbio di integralismi che ogni tanto inquietano le nostre vite.
Mi sono sdraiato anch'io su tappeto e sono stato li a guardar i dettagli dell'aula e le espressioni degli uomini che la riempivano.
Poi, e proprio non ho capito quale fosse il segno, gli uomini si sono alzati ed hanno incominciato o ad uscire o a parlarsi come vecchi amici. L'aula era diventata non luogo di trasmissione ma luogo di comunicazione.
Qualcuno mi ha salutato ma il mio non comprendere l'arabo mi consentiva solo di rispondere con il capo.