giovedì 13 aprile 2017

profumi

Stavo seduto sui ciottoli che il fiume ormai secco in questo periodo, aveva trascinato a valle. Il sole era forte anche se l'aria ti accarezzava leggera con un frizzante fresco che tutto leniva. Il berbero che stava con me vista l'ora ed il lungo cammino fin lì fatto, mi aveva proposto un the tirando fuori dal suo povero zaino una teiera con il beccuccio lungo da cui far zampillare la calda bevanda. Ci mettemmo ad armeggiare con il fuoco difficile da accendere per l'aria che tutto leniva. Poi finalmente la fiamma divampò e l'acqua iniziò a scaldarsi e mentre aspettavamo seduti il bollore, mangiammo le due uova sode ed il pane preparate la sera prima.

Il the fatto di mille sconosciute erbe che il berbero teneva gelosamente in una scatola di latta, era pronto e saltarono fuori pure due stretti bicchieri di vetro con disegni lievi lungo la base. Un cucchiaio di miele addolcì quel povero pranzo che mai fu così ricco.

Eravamo seduti sotto una pianta a me sconosciuta che indicando chiesi al berbero "argàn?" mettendo da buon italiano, l'accento sulla seconda "a". Lui annuì e confermò: àrgan! Pianta che quasi sembra un leccio per l'intenso verde della chioma in cui si esaltano delle "grandi olive" di un verde tenue che sembra proprio dipinte per facilitare la ricerca del frutto.

Rivedevo le poche case attraversate qualche ora prima e le donne sedute sulle soglie ad aspettare. Lo sguardo mi era sfuggito, mentre il berbero chiedeva dell'acqua, sulle mani rugose di una vecchia ingentilite da mille disegni fatti di morbide righe rosse e immaginavo il lavoro difficile e faticoso di raccolta e spremitura per trarre questo olio.

Il berbero non avendo altra forma di comunicazione se non quella dei gesti, ogni tanto lungo il cammino si fermava, raccoglieva un fiore e me lo porgeva per annusare. Mille profumi mi accompagnarono quel giorno in quella valle. Fiori gialli, blu, verdi, foglie grandi da spezzare, piccole da raccogliere. Forse per la prima volta compresi il valore del profumo che spesso pensiamo quale abbellimento ma che in quel luogo divenne forza per lenire la fatica del cammino perdendosi il pensiero in quelle sensazioni inebrianti.

martedì 4 aprile 2017

emergenza

Ho letto i numerosi e alle volte veementi post circa la demolizione della scuola provvisoria di Amatrice.
Naturalmente come spesso accade nel web l'indignazione peraltro comprensibile, non è per nulla supportata da analisi e considerazioni tecniche anzi sembra che la sola convenienza "politica' sia un motore sufficiente per descrivere la realtà. Nulla di più tragico e lasciatemelo dire" sciocco".
Ma andiamo con ordine: dalla mia esperienza il ricostruire dopo un emergenza non può e non deve mai essere provvisorio! Provvisorio significa non togliere risorse e forze per realizzare il definitivo.
Provvisorio è bere da una cisterna mobile in attesa che l'acquedotto sia riparato. Provvisorio è l'uso di un mezzo quattro-ruote per giungere in un luogo ma certo non è dare a tutti un autobotte o un 4x4.
Nel caso di una struttura collettiva come appunto una scuola il provvisorio non esiste e chi vende il contrario vende aria fritta.
Una scuola, un ospedale, una chiesa o funziona o non funziona! Se non funziona si va in un altra scuola, ospedale o chiesa più ancora che per una abitazione.
Quando il cuore grande dei trentini si mise in moto per aiutare Amatrice ebbi la netta sensazione che nessuno fece qualche semplice controllo: dimensioni e servizi della struttura necessaria. 
Io lo feci in internet contando studenti, classi, attività e compresi che quanto si andava a realizzare era più una pagina pubblicitaria per la "politica" che un reale aiuto definitivo.
Certo il sindaco locale poteva dire no ma solidarietà significa mi pare, stare accanto agli amministratori e suggerire loro le soluzioni che in prospettiva serviranno più che riempire pagine di giornali.
Così era evidente che una scuola fatta di container non poteva reggere per mancanza di standard ed inadeguatezza dimensionale e per i motivi che tutti comprendere. 
Se si voleva davvero aiutare Amatrice si sarebbe dovuto fare in progetto dove c'era la scuola, la palestra, la mensa e quant'altro e dire al sindaco il Trentino fa questa parte lasciando a lui l'onere di trovare altri finanziatori come poi è avvenuto.
Quindi è l'amministrazione trentina che non ha avuto le competenze ed in questo non ha solo non fatto nulla di definitivo per Amatrice ma di definitivo ha messo in ginocchio la vera solidarietà trentina che proprio nel rispetto della catena di comando ha sempre trovato uno dei suoi miglior esempi.
Così facendo chiamo a responsabilità nei confronti del volontariato chi ha condotto una operazione così mal combinata ma so che di continuerà a dire "vergogna" oppure "comprensione amara" cose che non servono a nulla a chi ha la pancia vuota o nulla in cui proteggersi!

domenica 2 aprile 2017

Jabel Lekst

Ieri mattina ho voluto al mio solito, un po' strafare e partito dal villaggio qui sotto mi sono avventurato su per il monte più alto di questa catena. L'impresa non sembrava sulla carta impossibile ma, ma c'è sempre un ma da considerare e forse anche qualcuno in più. 
Mi sono reso conto che la traccia che avevo scaricato in realtà non era una vera e propria traccia ma una idea della stessa. Così le difficoltà sono diventate subito forti un po' per l'assoluta mancanza di sentiero, un po' per la presenza di una vegetazione che seppur bassa impediva l'avanzare, un po' infine perché sembrando più facile salire arrampicandosi mi sono messo nei guai autonomamente così da dover ridiscendere e risalire. 
Alla fine con una fatica immane sono arrivato sulla ante cima del Lekst. Ho ripreso energie sono sceso sino alla forcella per poi risalire la cima vera e propria.
Trovare la traccia era arduo ed ancora mi sono ritrovato su un culmine di roccia da cui è stato complicato scendere rischiando cadute che Lu sarebbero state fatali. 
Così la poca avedutezza che mi rimaneva ha deciso di rinunciare alla vetta e pensare al duro ritorno. 
Così è stato! Anche perché seguendo più le tracce umane che quelle del GPS mi sono ritrovato in una valle diversa di quella di salita.
Mi rendevo conto che mai avrei potuto risalire per imboccare la valle giusta anche perché avevo finito l'acqua.
Vedevo dei vecchi campi e sapendo che i contadini non sono sciocchi speravo di trovare la mia strada del ritorno.
Sono arrivato così ad una gola dove ho notato un tubo per l'acqua e subito mi son rincuorato pensando che se lo avevano portato li in qualche modo sarei riuscito ad uscirne.
Dopo qualche passaggio mozzafiato lungo il wadi ho visto una piccola traccia lungo la quale mi sono subito avviato giungendo ad un colle! 
Ero ancora altissimo! In fondo vedevo il campanile ops minareto della chiesa ops moschea del paese. Ma vedevo anche una impressionante parete di roccia che mi separava dalla meta. 
La proprietaria dello alloggio dove ero sceso proprio in quel momento mi chiama verificando la mia integrità. Molto carina! La informo della situazione e le dico che una volta compreso che sarei potuto scendere da quella parete le avrei chiesto di mandarmi un taxi a raccattare al paese.
I contadini montanari sono saggi e cosi in quella parete avevano posto segni seguendo i quali in fondo non è stato difficile scendere. 
Il tubo sarebbe stato impossibile seguirlo anche perché facendo la via più breve scendeva a picco sulla parete. Però pensavo il tubo bisogna portarlo su a spalle e cosi..... 
Alle 18 dopo esattamente 11 ore di fatica immane arrivo al paese. Seduti su dei gradini ci sono tre uomini del luogo che chiacchierano tranquilli. Mi fermo! Mi siedo! E ringrazio la buona sorte! Non c'è lingua che gli uomini non comprendono e cosi mi pare d'essere a casa a Terragnolo alla fontana. 
Poi arriva il taxi, i crampi, la sete ma quel sedermi con quei tre berberi che mi sirridevano resterà per sempre.