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lunedì 25 marzo 2019

Azraq

Oggi sono entrato di nuovo nel campo profughi di Azraq ma soprattutto nell'ospedale che ha portato via tante mie energie e tanto impegno.
Era lì come l'ho lasciato! Solo un po' di sabbia in più nelle fessure. Ad accogliermi c'era il giovane manager ma vi assicuro che quando Ahmad mi ha salutato con un: "welcome back Fabio" il mio cuore ha preso il primo scossone.
Ahmad è uno degli operai manutentori ed ha visto tutto crescere e consolidarsi. L'ho sommerso di domande: gli impianti, A C sistema, le acque grigie, le maniglie, i vetri. Ho capito che è stato fatto un buon lavoro, l'impresa e noi. 
Ma vi assicuro che entrare nei reparti è stato quasi da "infarto". Il triage dove aspettavano tante persone per sapere dove andare e cosa fare. La sala operatoria che era in piena attività ed così, nella mia memoria è rimasta come l'avevo lasciata. La sala raggi, la farmacia. Ma quando sono entrato in maternità ho compreso che il cuore di tutto era quel reparto. Sentivo le grida di una donna che stava "consegnando" alla vita una nuova creatura. Vedevo le altre donne che avevano appena partorito con le loro creature. Sì sì sì. Quella è vita. La dottoressa responsabile mi mostra il cartello sotto negli ultimi 4 anni sono nati 4582+1 oggi bambini di cui 771 con taglio cesareo ma la cosa più bella è che nessuno è mai morto! 
Mai avrei pensato di emozionarmi cosi tanto.
Poi mi hanno mostrato le impronte dei piedi dei bambini nati. Qui è una consuetudine: il primo passo nel mondo...ho pensato che dovremmo farlo anche noi.







domenica 24 marzo 2019

Akhadir

Non so bene perché ma è la terza volta che salgo qui. Monte Nebo. Qui Mosè fini il suo viaggio che per certi versi fu un impresa unica liberando un popolo dalla schiavitù. La cosa che mi piace pensare è che in quei tempi la coscienza del limite era ben presente cosa che mi pare persa soprattutto nei nostri tempi.
Forse è questa la ragione profonda che mi lega a questo luogo non essendoci altri motivi di natura religiosa.
Oggi è l'unica volta che una pioggia mi ha accompagnato. L'intorno che ricordavo color oro è diventato verde e laggiù verso Gerico, si scorge un verde intenso. 
A Madaba ci sono arrivato su un bus sgangherato pieno di uomini con la kefiah, donne con il velo e bambini cheti.
Ho camminato al solito sinché i miei passi mi hanno riportato in centro. 
Orde di turisti! Che ammiravo le notevoli cose che Madaba custodisce. Ma? Ma al di fuori dei cento metri che separano il terminal per turisti dai luoghi per i turisti nulla. 
Mi chiedo che senso abbia tutto questo ammirare "oggetti" e non umanità e non storie.
Ormai ci limitiamo nel nostro osare di conoscere. Troppo "pericoloso" osare di doversi fermare come fece Mosè da questo luogo. 
Oggi ho imparato una nuova parola in arabo: akhadir: verde....

mercoledì 20 marzo 2019

marciapiedi

Esci e cammini per gli sgangherati marciapiedi di Amman. Un leggero vento ti accarezza il volto ed attenua il caldo di sole già forte. Le case che ti accompagnano sembrano tutte uguali pur essendo una diversa dall'altra. Ti sei perduto forse ma dentro di te segui una vecchia bussola che per qualche anno è stata spenta ma non ha perso l'orientamento. 
Poi improvvisamente da un vecchio cassetto della memoria salta fuori una scritta, un angolo, una prospettiva ed il cuore ritrova la strada e i tuoi passi diventano sicuri ed un altro cassetto si apre, gira lì a destra poi ci sarà uno slargo. E sorridi dentro di te per la ritrovata strada per il sentirti di nuovo a casa fra mille cose conosciute e vissute. Là un bancomat dove ti infilavi a prelevare, là ZAIN dove ricaricavi il tuo conto telefonico. E ecco il bar all'angolo con la solita musica orientale, il buon caffè, i ragazzi che bigiano la scuola, il profumo di narghilè che composti uomini alimentano con nuove braci. Ritornano gli incontri con Olav, con Hanna con Francisco con Gerard.
Senso di una vita che corre ma mai finisce dentro di te. Non sai bene cosa o chi ringraziare di tante emozioni e poi ti fermi prendi un sorso di caffè, respiri profondamente e continui come sempre finché sarà possibile. insha'Allah!

giovedì 5 febbraio 2015

Zorba

Jack e Widad mi hanno mandato un messaggio con foto da Zorba laggiù a downtown in Amman.
In un attimo migliaia km sono diventati nulla.
Non è il ricordo di qualche piacevole serata trascorsa con gli amici laggiù, non è il tabule o non sono le croccanti chops o la birra che finalmente ci aiutava ad essere un po' più noi stessi che mancano. In fondo è facile essere di nuovo li.
La mente corre come sempre, vede luoghi e persone che il nostro essere mai vuole lasciare andare e sempre accarezza e continua a seguire. 
Il vivere in un altro mondo ci consegna un altro mondo. 
E' un po' e forse nemmeno un po', come un amore che mai lascerai andare e gelosamente continuerai a coltivare dentro di te anche se ormai lontano.
Non lasciare alcun che penso alla fine ci dia quella vita che sappiamo di dover lasciare. 
Questa sera sono tornato ad Amman da Zorba con Jack e Widad Akrouk​







giovedì 11 settembre 2014

Yack

Ieri ho sentito Yack. Il suo vero nome è Jacoub ma lui non so perchè, preferisce farsi chiamare americanamente Yack e la sua famiglia viene da Betlemme. Era in ospedale accanto alla vecchia madre che mi sorprendeva sempre per la lucidità con cui parlava in un ottimo inglese dovuto alla occupazione e ai casini che quella nazione ha combinato laggiù e non solo laggiù.
Ho ricordato quel venerdì (giorno di festa laggiù) mattino che passò a prendermi da casa ed insieme alla vecchia madre andammo a Rabia, quartiere di Amman, dove secondo Yack preparavano il miglior humus della città. Poi dopo averne comperato molto per la giornata che ci attendeva, ci avviammo fuori città lungo strade che salivano chine impervie punteggiate qua e la da magri olivi o povere viti. Arrivammo nella casa di campagna. Le donne aprirono gli scuri, attivarono il pozzo, misero fuori al tiepido sole dell'inverno le sedie ed incominciarono a parlare in una lingua per me incomprensibile alle parole ma non al significato come son tutte le lingue perché parlate dagli stessi cuori.
Yack mi porto giù lungo il podere. parlava delle piccole piante di vite, dei fichi che stavano dando frutto, del melograno che a fatica sosteneva i pieni frutti. Lo ascoltavo e in quel momento ho pensato di aver ritrovato il fratello che avevo perso qualche anno prima e che come Yack amava il lavoro, la famiglia, la bella moglie e la casa di campagna dove poter fuggire.
Provai più tardi a scrivere a Yack tutto questo ma il mio inglese non è così efficace anche se credo Yack abbia ben capito. 
Poi arrivò Widad con il vecchio padre. Palestinesi anche loro. Si sedette accanto a me e mi chiese dell'Italia e ridemmo mentre io chiedevo della Palestina di allora e lui dell'Italia come ragazzi assetati di sapere. Mangiammo humus, phalephel, tabule, agnello parlammo, raccontammo, bevemmo vino perchè seppur arabi tutti erano cristiani e per un momento quella collina sembrò diventare Scanucia. 
Yack e Widad verranno a trovarmi ed io chissà quando ritornerò in quel deserto che mi ha rapito il cuore mentre turbini di sabbia improvvisi ti circondano come pensieri che corrono sempre nel tuo cuore.


venerdì 7 febbraio 2014

la dove

ieri, lungo una delle solite ampie e scalcinate strade, la dove la città sta per finire o per incominciare e la dove vecchi edifici scalcinati si mescolano con i nuovi più pretenziosi ma in fondo solo un po' più puliti, e la dove rimane qualche vuoto campo che qualche vecchio si ostina a coltivare di magri olivi ma che presto lasceranno il posto al cemento, e la dove i Gypsy riescono a trovare ancora qualche campo dove metter le loro tende in cui tanto sporchi ma liberi e felici bambini corrono attorno, e la dove magri cammelli pascolano magra erba secca, e la dove officine meccaniche nere di unto forse meno della tuta dell'ormai invecchiato giovane che un tempo amava metter mano al rombo di motori e la nella periferia aveva messo su la suo scalcinata officina, e la dove ancora non c'è marciapiede e luce e la nettezza non passa mai, e la dove tutto sembra fra poco cambiare, ieri appunto la dove era tutto questo stavano loro uno in fronte all'altra mani nelle mani, occhi negli occhi, infiniti pensieri in infiniti pensieri e una felicità per quel amore che dal "la dove" li isolava ed in paradiso li portava "la dove" ogni cuore è uguale al nostro.
Lei: minuta ed esile con quei soprabiti lunghi che tutto nascondono e rendono uniforme, con bottoni infiniti che ben sopra il collo finiscono, con un velo bianco ad incorniciare il volto coperto da fazzoletto azzurro che si muoveva al vento: abiti che nulla lasciano alla bellezza di una donna ma con quegli occhi rivolti in su nel perso sguardo di lui che la rendevano la più bella delle donne.
Lui: possenti spalle che mai vorrei affrontare di lana nera coperte, cappelli neri forti come un cespuglio di rovi, ma occhi nel chiaro volto, persi di dolcezza quel scricciolo che gli stringeva le mani e come un tenero bambino lo faceva apparire.
Che bello: accade la dove alle volte tutto sembra perso come nel nostro cuore. Ho deciso che li chiamerò Omar e Leila e che quel infinito amore colto per un attimo è il regalo di questa terra.



sabato 1 febbraio 2014

Webdeh

Questa mattina avevo un po di tempo dovendo aspettare l'indaffaratissimo Andrea. Da prima mi sono fermato nel rotondo giardinetto di Paris Circle e me ne sono stato li, seduto su una delle otto panche, a gustarmi i caldi raggi di un sole ormai già forte che ancora combatte però con l'aria fresca dell'inverno.
Ripensavo a quel giorno lo scorso dicembre, che nevicava fitto ed a quello che era accaduto proprio complice la neve, in quell'elegante bar curvo d'angolo dove mi ero rifugiato per sentire un po' di caldo e stare tranquillo e li come spesso accade, mi ero messo a scrivere per trovare un po' di compagnia al mio cuore solitario.
Poi ho iniziato a gironzolare lungo le strette strade del Webdeh e a guardare quei negozietti fatti di nulla ma che danno l'idea di essere in un quartiere cucito un po' sulle aspettative dei turisti.
Camminando lungo sgangherati marciapiedi mi sono spinto sino alla moschea verde o almeno così io la chiamo per via delle cupole verdi, il verde è il colore di dio,  che stanno sia sopra l'aula sia sopra la.fontana delle abluzioni sia per la guglia verde del bel e slanciato minareto.
Ho tolto le scarpe e sono entrato nel luminoso pronao dove le ho appoggiate ordinatamente fra le molte altre.
Si molte. Oggi è un giorno lavorativo normale, è mezzogiorno ma l'aula era piena sia di più cheti vecchietti sia di più scalpitanti giovani. 
Le espressioni dei volti erano lievi tanto da fugare il dubbio di integralismi che ogni tanto inquietano le nostre vite.
Mi sono sdraiato anch'io su tappeto e sono stato li a guardar i dettagli dell'aula e le espressioni degli uomini che la riempivano.
Poi, e proprio non ho capito quale fosse il segno, gli uomini si sono alzati ed hanno incominciato o ad uscire o a parlarsi come vecchi amici. L'aula era diventata non luogo di trasmissione ma luogo di comunicazione.
Qualcuno mi ha salutato ma il mio non comprendere l'arabo mi consentiva solo di rispondere con il capo.


venerdì 3 gennaio 2014

Omar

Dear Fabio,
We at maani Ventures r privileged to have known and worked with a man go your caliber.
Cooperation and genuine work is what seems to be MISSING nowadays and working with u showed that there is still hope for goodness.
Stay in touch with us all the time and who knows maybe we will work together again, hopefully
Omar Maani

Omar è un uomo forte ed intelligente: qualcuno lo definirebbe potente confondendo come molte volte avviene, la forza con il potere. E' stato sindaco di Amman e quando ci siamo incontrati proprio non sapevo chi fosse. La spontaneità di entrambi ci ha legati al di la del poco tempo trascorso assieme. Credo che entrambi abbiamo conosciuto il dolore e la forza per poterlo superare. Questo è il potere. 

venerdì 6 dicembre 2013

142 giorni

Ieri in una giornata piena di pioggia e vento teso da nord est mentre il deserto si colorava di nuovo e diventava ancor più magico con le nuvole nere all'orizzonte con la mia scassata macchina dello sceicco me ne sono andato per l'ennesima volta solitario ad Azraq. Era ormai pomeriggio inoltrato e avevo deciso di lasciar tutto il tempo al lavoro per finire. La vigilanza mi ha aperto il grande cancello di ferro e al solito ha alzato la mano per salutare. Poi ho incominciato a camminare per l'edificio, Guardavo, trovavo difetti, imperfezioni, cose che potevano fare meglio ma che anch'io potevo fare meglio. Ibrahim mi è venuto a salutare ma ha capito subito e si è giustamente allontanato. Mi chiedevo se tutto era pronto nonostante qualche maniglia rotta, qualche battiscopa ancora da posare, qualche angolo di soffitto da chiudere. Si era finito! La mia mente ed il mio cuore hanno risposto alla mia mente! Ho preso il telefono ed ho chiamato il mite Jack: " Ok Jack! make the invoice!..You have finished I call Shadi and we sign the documents..see you..."
68 giorni! Sono 68 giorni che abbiamo iniziato a costruire questo ospedale ed ora abbiamo finito. 2000 mq di ambulatori, reparti, sale operatorie. La prima missione fu fatta fra il 14 ed 16 luglio poi fu tutta una corsa. Sono passati esattamente 142 gg. da quel primo giorno Serve sempre di più a preparare che a fare: le carte ormai sono essenza ed il costruire appendice.
142 giorni alle volte difficili alle volte esaltanti alle volte frenetici, alle volte tristi per inutili opposizioni, alle volte persino noiosi. Realizzare un progetto è alle volte come una vita dentro una vita. Si parte senza sapere esattamente dove si arriverà e come ci si arriverà, poi lo studio, la preparazione, i tentativi, le ipotesi. Poi gli scontri, il cedere, l'affermarsi. E poi ancora trovare il partner capirlo, aiutarlo, correre assieme, litigare, ridere assieme e poi IERI....
Una vita riassunta in 142 giorni. Che bel mestiere è questo!
Volevo ringraziare un po' di persone quando prima ho iniziato a scrivere ma in fondo non serve come al solito chi ha camminato accanto lo sa ed altro non serve.
Un altro progetto, un altro cantiere, un altro mondo, un'altra vita dentro una vita vuota di lei.










domenica 24 novembre 2013

monte Nebo



L'altro giorno o poco importa quando, camminavo solitario lungo una stradina polverosa che correva alta su un infinito precipizio. La terra era secca di color oro e dava calore anche se l'aria era fresca. Molto rade macchie di verde fermavano l'occhio per esaltare ancor più quel infinito oro. Il monte si chiama Nebo ma in fondo credo che il nome poco importa per gli infiniti monti Nebo che troviamo in ogni parte del mondo e su cui ci arrampichiamo ogni giorno.
Non era tersa la giornata e dal Monte lo sguardo si fermava poco al di la di Gerico senza potersi spingere sino a Gerusalemme ed ancor oltre verso il mare come è nelle giornate limpide o almeno così dicono.
Mosè da lassù vide la terra promessa anzi il deuteronomio dice: "...e il Signore gli fece vedere tutto il paese..." Saggio libro in cui la capacità di vedere oltre l'infinito non è solo opera della umana capacità di guardare le cose ma attiene anche ad altra capacita che credo sia quella di veder oltre o dentro le cose.
Quando arrivai a Concordia qualche mese fa, in una pianura per me sconosciuta e forse troppo magicamente piatta scopri che anche qui c'era un monte Nebo. Non era l'argine possente del fiume, non erano gli edifici ormai pericolanti per un sussulto della terra era come giusto che sia, un uomo possente nel fisico ma quel che più vale nella mente. I credenti forse mi inviterebbero ad aggiungere nell'anima ma ancora non ho trovato monte che spinga lo sguardo così lontano, Non me ne vogliate ma quest'uomo riusci a farmi vedere come fossi sul monte Nebo al di la dell'orizzonte e così immaginai..... "Gerico città delle palme"....
Poi la storia sapete come è andata, le palme forse non sono così lussureggianti e certo non è il caso che lo siano, ma quel che mi pare vero nella vita è trovar sulla nostra strada dei monti Nebo su cui salire per poter vedere altre le nostre povertà, le nostre mancanze e per consentire a questa nostro vivere comune di avanzare seppur lentamente nella comprensione e nella conoscenza.

Grazie Franco.




lunedì 11 novembre 2013

Assad


Lui è Assad: è siriano e non è famoso. Fa un lavoro umile e faticoso ma vecchio come l'uomo. Costruisce con la sua mente con le sue mani qualcosa che rimane ad altri per vivere, guarire, stare assieme.
E' asciutto nel fisico come altro non può essere chi mangia non molto e fatica forte sotto il sole. 
Guardatelo mentre felice cammina lungo una centina appena finita. Felicità di una cosa ben fatta null'altro.
Gli altri poveri operai egiziani che implorano ogni giorno di venire in Italia, lo seguono, lo aiutano senza che vi siano parole inutili. Lui da sicurezza a loro, li aiuta con l'esempio, li protegge mai chiede qualcosa per se stesso.
Dal primo giorno che l'ho visto lavorare silenzioso mi ha colpito e l'ho seguito. Ho guardato come faceva a mettere a livello infiniti pilasti. Ho controllato, ho fatto su con il pollice non uno era sbagliato e lui mi ha sorriso finalmente. Poi sono arrivate anche le parole, Poche ma di infinito valore. Ci sediamo su quel muro e forse cerchiamo di intuire uno il mondo dell'altro. Forse ci siamo capiti ed il mattino in cantiere ci salutiamo con la mano sul cuore e con uno sguardo. Quanto poco sensato è questo mondo che nasconde uomini come Assad in luoghi sperduti e lascia cialtroni a far finta di governare. 



venerdì 8 novembre 2013

diversità

La velata luce prende il posto lentamente alla notte. E' silenzio in questa casa estranea che piano piano sta diventando mia. Riconosco l'armadio nella penombra e so quanti cassetti ed ante ci sono. La mia mente vede anche il lenzuolo gioiosamente colorato che se ne va via vuoto dall'altra parte.
Finalmente la mia pancia si è chetata e penso al caffè caldo che mi riporterà per un attimo ai miei sapori di sempre, alle mie nostalgie, al mio cuore non cheto.
Non dirò nulla della tua rabbia, della tua delusione, del tuo sentirti disarmata, del tuo essere all'apparenza poca cosa in un mare di cialtroni.
Non dirò nulla perché quella è la condizione di chi con la mente, il cuore lavora. E' la condizione dei "diversi" che ancora fortunatamente tengono in piedi questo paese ove solo il conformarsi è stato eletto ad essenza di potere che poi altro non è nella maggior parte dei casi che finzione. Ci sei vissuta sino ad oggi con questo e ci vivrai devi solo "imparare" ad credere di più di essere come sei più forte, più intelligente e permettimelo più bella che capisco per una donna possa diventare una maledetta diversità in più da vincere.
Vedi quando ero un bambinetto ed iniziavo la scuola in un giallo ed austero edificio asburgico poco lontano da casa, una maestra, la mia prima maestra, mi allontanò dalla classe e mi mise in quella che allora veniva chiamata "differenziale". Beati i tempi della sincerità! Mia madre quasi ci morì sapendo di avere un figlio non normale. Ma da quel giorno nel male ed invecchiando molto più nel bene mi sono sentito differente. E' faticoso esserlo alle volte. I poveri di mente ti odiano non restando loro altra arma i normali ti temono perchè non ti possono prevedere, quelli che stanno "in alto" non ti credono perchè incapaci di controllarti. Io alle volte mi fermo per strada, guardo quello che accade e sorrido a me stesso ringraziando di essere "diverso". Poi continuo a camminare e so che è utile che lo faccia per me e per gli altri. Continua!

domenica 8 settembre 2013

Gerard

Dear Fabio,

Wishing you a very happy birthday, but please don't enjoy it too much as we want you to return to sunny Azraq for the serious business of constructing the hospital.
Let me know you plans and we will see if we can get you into the hotel as a Red Cross consultant/advisor.

Best regards and enjoy your day



giovedì 18 luglio 2013

fagotto

la ragazza usciva su insicure gambe coperte dalla lunga tunica
il volto pallido con una contrazione quasi di dolore
le mani aiutavano l'equilibrio che con un passo ancora
al nulla più poteva sorreggersi.
una giovane donna l'accompagnava fuori da quella porta
in braccio teneva una coperta colorata che strideva al caldo del deserto
e finalmente il giovane possente maschio arrivò a prendere la borsa delle poche cose
non un sorriso, non un braccio, non uno sguardo, non un bacio, nulla
quel fagotto usciva alla vita nuova in un mare di tende
quella giovane donna aveva donato il suo amore a una terra lontana
quel maschio possente fremeva per tornar dai sui compagni per non esser codardo
e unico affetto aveva donato a quel figlio l'essere per qualche giorno tornato
per poi speriamo di no, tornar a morire