giovedì 11 ottobre 2018

kocka (cubo)

Janos Kadar fu di fatto per lunghi anni (1956/1988) capo dell'Ungheria. Stiamo parlando del tempo in cui l'Europa era divisa in due blocchi e qui dicevano essere comunisti mentre dalle nostre parti capitalisti con una "chiara" distinzione di obbiettivi, ideali e quel che più sembrava contare vite reali.
Ma la vita reale è sempre altro e non c'è ideologia, politica, movimento che può comprimere la libertà di pensiero anche se può controllare o propagandare "ideali" per i cittadini. 
Comunque non era di politica che volevo parlare ma dei cubi di Kadar (Kadar kocka) come li chiamano da questi parti. 
A partire dagli anni 60 nei paesi della campagna ungherese Kadar decise di "elevare" le condizioni di vita dei suoi concittadini ops cittadini perdonate, e concesse l'autorizzazione ed in parte il finanziamento cittadini, per la realizzazione di nuove case unifamiliari.
Il progetto fu studiato da decine di architetti che alla fine partorirono un cubetto 8*8 con tetto a quattro falde pendenti a 45°.
Quello per i cittadini ops compagni allora, divenne il sogno.
Ma? Ma! 
Ma l'uomo fortunatamente non è fatto con lo stampino e così quel cubetto che punteggia la campagna ungherese divenne in breve tempo un esercizio di creatività individuale innestata su un disegno proveniente ed imposto dalla centrale web ops scusate del partito comunista.
Cosa si può cambiare ad un progetto partorito dalle migliori menti del web ops scusate ancora, dell'architettura socialista?
Le decorazioni esterne fatte di semplice malta ma che come la vita, mille lavorazioni consente.
Camminate e ammirate come quella creatività ha trovato mille diverse risposte fatte di segni, incavi, lesene, rilievi e naturalmente colore.
Tutti elementi della architettura dei poveri che però ahimè stanno per essere spazzati via da tecnologici cappotti.
Si: comprendo è inevitabile ma quanto sarebbe bello conservare non tanto quelle lavorazioni ma almeno la infinita la libertà della mente che esprimono.