sabato 31 marzo 2018

La Paz

Vorrei descrivere LaPaz ma proprio non so da dove partire. Oggi ci ho camminato a lungo, ho preso i suoi micro, il "mio teleférico", ho girato le sue piazze, le sue strade erte; mi sono rifugiato in una sua chiesa; ho camminato per i suoi mercati fatti di mille cose e sapori. 
Ma onesto non so da dove partire per dire che è una città unica, speciale. Nessuna mente potrebbe concepire tanta ordinata confusione. Ecco a LaPaz gli architetti sono nulla. Non servono, non se ne sente la mancanza oppure tutti sono architetti. 
Anche i grattacieli sembrano usciti dalla stessa matita delle case di mattoni. Ordine talmente semplice da creare una complessità infinita.
Poi passi per una strada e butti l'occhio e mattoni, mattoni, ancora mattoni che sembrano mangiarsi quei vetri che forniscono per essere omaggio alla modernità ma che in fondo a poco servono. 
Le strade: talvolta erte da spaccarti i polmoni, talvolta vuote, talvolta piene di gente che vende il nulla o il tutto a seconda del punto di vista.
Poi improvviso un temporale: scrosci d'acqua come in tutte le altre città del mondo; ma: ma a LaPaz dalla camicia passi al maglione, trapunta e se ne avessimo altro ancora dal freddo che senti. Poi, poi smette di piovere e torna il sole. Ti aspetti a toglierti il tutto ma un caldo infernale ti colpisce. 
Poi cala il sole e, ed è subito gelido. 
Sono sceso da un micro ed un nutrito gruppo di pacene si è messo ridere di me, del mio essere yenke ed affannato per l'essere sceso dal micro. Le avrei baciate tutte con le loro gonne polloglie mi pare si chiamano, fatte di quattro strati e lunghe più di tutte le gonne boliviane.
Sorridono o fan finta di dormire. Chissà? 
Non so perché ma mi sono sentito a casa anche perché c'è la teleferica senza, finalmente, gli sci ai piedi ma la città.