sabato 3 febbraio 2018

fatica

Sto guardando il piccolo spazio da dove ho tolto la tenda, guardo lo zaino che attende le ultime cose per poi pesare sulle mie spalle, guardo più in là altre tende poste sotto immensi alberi fra cui li sole prova a scendere illuminando qua e là piccole radure ove i ragazzi corrono a scaldarsi dalla fredda notte, guardo il mio piatto con pane formaggio ed un prezioso uovo sodo, guardo la bottiglia d'acqua che mi aspetta fredda.
Penso alla giornata di ieri, ai numerosi guadi di torrenti a piedi nudi e gambe scoperte, ai "tavani" che infiniti ti ronzavano attorno alla testa e che per una volta avresti voluto aver la coda come le mucche che placide seguivano il tuo avanzare, penso alla salita erta prima nel bosco poi fuori fra rocce rotte ed infine nella neve, penso a quella gioia arrivato in cima, che ti senti dentro come emozione per la fortuna d'essere qui e la volontà che ci hai messo ad essere qui.
Penso alla infinita discesa in cui il sedere più volte ha baciato la terra come gesto di affetto fortunatamente.
Penso alla stanchezza degli ultimi metri alla cena di fagioli e tonno e finalmente al sacco piuma. 
Penso alle dodici ore di dormita al risveglio: le nove? Che tardi al sorriso a pensare che non l'ufficio ma altra fatica mi attende.
Sento il mio corpo che giorno per giorno si fa sempre più asciutto e forte, sento il mio cuore che pulsa lento come è questo tratto di vita despachito dedpachito.
Penso a domani, al prossimo anno, agli anni che verranno e mi auguro siano poveri, faticosi, umidi come sono state queste settimane e giorni.
Penso che la fatica è la cosa che più manca a questo nostro tempo.